Mihaljevac è il luogo dell'attesa, la mia
e di Romain
contando e ricontando gli otto, i quindici
ed i quattordici che non ti riportano a casa.
È la visione dei soffietti - solo per l'otto;
due vagoni - è il quattordici, mammina?
e quello piccolo che sbaglia rotaia è il quindici,
non ci interessa e si vede
-subito -.
La salita per me inizia dal market di Lovćenska:
dico a tutti è facile, uguale ad amore, ma
solo per le prime tre lettere...
Al cimitero certo a piedi non ci arrivo e
sto attenta alla curva cieca, alle sue
macchine
e medito su di noi, mentre sento la fatica
nelle gambe (spesso anche sulle spalle,
scimmietta oblige).
Disperazione e speranza sono strane
compagne di strada
cui nemmeno la magnitudo dei
cedri atlantici dà sollievo.
Annuso tendine trasparenti e gatti imprigionati
di altre case,
altrui ricordi.
Quando vedo la catasta di legna ci siamo:
(se vecchi frigoriferi e caldaie arrugginite
ostacolano i margini vuol dire che è mercoledì)
i Karlušic sono - al solito - invisibili.
Sommersa da pacchi e scatoloni, lo odio
quel
cancelletto e sbaglio sempre le chiavi
di casa.
Ma ho tutto il tempo di correggermi,
ché tanto nessuno viene ad aprirmi mai