Spezzare il collo ai pesci

Sally Read

La sera dopo, provammo il sesso anale
e mentre mi blandivi il collo con i pollici

pensavo al Wolf’s Creek
e ai pesci che non prendevi,

colli di grasse trote che non ti sentivi di spezzare
per portare i pesci morti da tua madre.

Nel calore sapevo che il mio culo
era morbido, la buccia di una pesca.

Ma era quello che c’era oltre che ti attirava:
un nucleo sensibile, duro

il nocciolo di una pesca –
le ruvide creste, fini filamenti

imprigionati nei solchi
dove la polpa è strappata via.

Qui, al seme della spina,
gomitolo di muscolo,

hai provato a disfarmi, tenendo fermi i fianchi
con le mani, spezzandomi paziente.

Quando ci fermammo, mi sciolsi
ma rimasi integra

intorno a questa durezza,
nel busto delle tue braccia

finché ci separammo
e recuperai lentamente.

Hai smesso di pescare anni fa.
Usavi l’immobilità,

la patina bronzea dell’acqua
per volere che il pesce fosse più a fondo.

Non potevi guardarli
soffocare o sentire lo schiocco

di ossa delicate
tra il pollice e l’indice.

O camminare verso casa
tracannando birra

col freddo umido sulle mani,
e bagliori di pelle d’argento

troppo agevolmente diventate
il peso morto di una carne

scagliata in fondo
al tuo retino.